domenica 31 gennaio 2016

COME SI MUORE DI COBALTO


LA DENUNCIA DI AMNESTY

Come si muore di cobalto

Mercoledì 27 gennaio 2016 ore 07:00
“Passo praticamente 24 ore nei tunnel. Arrivo presto la mattina e vado via la mattina dopo. Riposo dentro i tunnel. La mia madre adottiva voleva mandarmi a scuola, mio padre adottivo invece ha deciso di mandarmi nelle miniere di cobalto”. È la testimonianza di Paul, 14 anni, uno degli 87 minatori o ex minatori incontrati da Amnesty International nella Repubblica democratica del Congo. Paul, raccontano gli inviati di Amnesty, ha iniziato a lavorare nella miniera a 12 anni. Ha già i polmoni a pezzi.
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L’Unicef stima che siano almeno 40mila i bambini sfruttati nelle miniere. “Solo nell’ultimo anno sono morti nel Sud del Congo ottanta bambiniminatori, questo mentre le aziende produttrici di apparecchi elettronici fanno profitti stimati in 125 miliardi di dollari annui e non riescono a diredove e in che condizioni di lavoro si procurano le materie prime”.
Questa un’altra testimonianza raccolta da Amnesty in Congo. E quella diFrançois che lavora nelle miniere di cobalto, con il figlio tredicenne Charles. Estraggono le pietre, le lavano e poi le trasportano fino alla casa di un commerciante, non lontano dalla miniera. “Come si fa a pagare la retta della scuola?”, si domanda François. “Come si fa a pagare il cibo? Dobbiamo lavorare in questo modo, perché non c’è alcun altro lavoro.Dateci un lavoro e noi ci prenderemo meglio cura dei nostri figli”. Charles la mattina va a scuola e il pomeriggio aiuta il padre.
Coltan-Bambini
Il rapporto di Amnesty This is what we die for (Ecco per che cosa moriamo) ricostruisce il percorso del cobalto estratto nel Congo: “Attraverso la Congo Dongfang Mining (Cdm), interamente controllata dalgigante minerario cinese Zheijang Huayou Cobalt Ltd (Huayou Cobalt), il cobalto lavorato viene venduto a tre aziende che producono batterie per smartphone e automobili: Ningbo Shanshan e Tianjin Bamo in Cina e L&F Materials in Corea del Sud. Queste ultime riforniscono le aziende che vendono prodotti elettronici e automobili. Il Congo produce quasi la metà del cobalto a livello mondiale che viene poi utilizzato per le batterie al litio”.
Amnesty International ha contattato 16 multinazionali che risultano clienti delle tre aziende asiatiche che producono batterie utilizzando il cobalto proveniente dalla Huayou Cobalt o da altri fornitori. Le multinazionale sono: Ahong, Apple, BYD, Daimler, Dell, HP, Huawei, Inventec, Lenovo, LG, Microsoft, Samsung, Sony, Vodafone, Volkswagen e ZTE.
Riccardo Noury è il portavoce di Amnesty Italia.
Che cosa hanno risposto le multinazionali alle vostre richieste di chiarimento sui fornitori di cobalto e le condizioni di lavoro?
“Delle 16 aziende interpellate da noi di Amnesty International, una ha ammesso la relazione, quattro hanno risposto che non lo sapevano, cinque hanno negato di usare cobalto della Huayou Cobalt, due hanno respinto ogni evidenza di rifornirsi di cobalto della Repubblica Democratica del Congo e le altre hanno promesso indagini”.
E Apple?
“In particolare Apple ha risposto che l’azienda sta in questo periodo valutando da quali fonti arriva il cobalto usato nei suoi prodotti. Però LG Chem, fornitore di Apple, ha confermato che acquista cobalto dalla Tianjin Lishen. e che avrebbe indagato sulle denunce di Amnesty International”.
E Microsoft?
“Microsoft ha dichiarato di non essere in grado di andare a ritroso lungo la filiera e dunque di poter dire con assoluta certezza se il cobalto sia o meno frutto di lavoro minorile. Vodafone ha detto di non sapere se il cobalto che usa provenga o meno dalla Repubblica Democratica del Congo, poi ha smentito di avere Tianjin Lishen come fornitore, sul cui sito invece Vodafone è citata tra i clienti. Samsung sostiene che il cobalto dei prodotti che le fornisce LG Chem non passa attraverso la Huayou Cobalt”.
Da questa vostra indagine e dalle risposte che avete avuto dalle multinazionali che valutazione fate?
“Il quadro che emerge è quello di una mancanza complessiva di trasparenza. Sulla base delle risposte fornite dalle 16 aziende interpellate, Amnesty International sostiene che nessuna sia stata in grado di fornire informazioni dettagliate, sulle quali poter svolgere indagini indipendenti per capire da dove venga il cobalto”.
Quindi rispetto le regole internazionali che conclusione trae Amnesty?
“Riteniamo che sebbene il cobalto non sia tra i minerali oggetto di una normativa specifica che dovrebbe impedire di rifornirsi di materie prive provenienti da zone di conflitto, le aziende dovrebbero comunque seguire gli standard internazionali dell’Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo economico, ndr) e dell’Onu che richiedono di fare ricerche lungo la filiera e di adottare rimedi nel caso si verifichino violazioni dei diritti umani”.
Il rapporto sul Congo è stato fatto in collaborazione con Afrewatch(African Resources Watch) di cui Emmanuel Umpula è direttore esecutivo. “È paradossale che nell’era digitale – ha commentato Umpula – alcune delle compagnie più innovative e ricche al mondo siano in grado di vendere dispositivi incredibilmente sofisticati senza dover dimostrare da dove arrivano le materie prime per le loro componenti”.

***Aggiornamento del 25 gennaio***
In seguito alla pubblicazione di questo articolo, il portavoce di Amnesty Italia, Riccardo Noury, ha inviato a Radio Popolare il messaggio che qui volentieri pubblichiamo:
“Sono molto contento che questo post sia stato letto e condiviso da tantissime persone. Quella di ottenere un comportamento etico e trasparente delle multinazionali circa l’uso delle materie prime è una sfida difficilissima. Ma un primo passo è stato fatto: le aziende menzionate nel rapporto di Amnesty International non potranno più dire ‘non sapevamo’. Molte di loro hanno promesso approfondimenti e indagini e le marcheremo strettamente. Premeremo anche perché la filiera del cobalto sia finalmente regolamentata. Grazie anche al post pubblicato sul sito di Radio Popolare sappiamo ora che migliaia di persone chiedono prodotti etici, anche nel campo dell’elettronica. La speranza è che il mercato si sviluppi ulteriormente in questa direzione”.
Riccardo Noury,
Portavoce Amnesty International Italia
Aggiornato venerdì 29 gennaio 2016 ore 19:39
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Mondo • Africa • Asia • Automobili • Bambini • Cina • Congo • Diritti • Lavoro • Povertà• Salute • Sfruttamento • Tecnologie

sabato 30 gennaio 2016

FINALMENTE QUALCUNO CHE SFANCULA BENIGNI

FINALMENTE QUALCUNO CHE SFANCULA BENIGNI, “UTILE IDIOTA” AL SERVIZIO DI RENZI E DELLA FECCIA MASSONICA EUROPEA


di Andrea Scanzi per ilfattoquotidiano.it
Leggo che Benigni, quello che anni fa in tivù recitava i suoi sermoni laici sulla sacralità della Costituzione, voterà sì al referendum che vuol sancire lo sfascio della Costituzione di cui sopra:quando si dice la coerenza.
Caro Roberto, ti ho voluto bene, e tutto sommato sempre te ne vorrò, perché certe tue cose resteranno: dal Cioni Mario a tutti gli Ottanta, fino al tuo ultimo apice La vita è bella. Siamo pure concittadini, e fino a un certo punto ce l’hai avuto eccome quell’approccio da guastatore toscano, da provocatore sboccato: da pazzo tanto esilarante quanto (in realtà) lucidissimo. Per carità: non potevi fare sempre la stessa cosa, e mettersi a toccare la “patonza” della Carrà a sessant’anni sarebbe stato un po’ ridicolo. Lo so. E pazienza – voglio essere buono – se un tempo prendevi in braccio Enrico e poi Mastella. Pazienza.
Qui però non siamo più all’incendiario che si fa pompiere: siamo al satirico che si fa mesto turibolo del Potere. Siamo al guitto che rinuncia totalmente al suo ruolo: e questa, per un artista, è la colpa più grave. Perdonami, ma vederti passare da “Berlinguer ti voglio bene” a “Renzi mi piaci tanto”, o dal “Woytilaccio” che fu all’attuale “Volevo fare il Papa da grande”, mette una tristezza che non hai idea. Lo scrivo con dolore, senza dimenticare l’affetto e la gratitudine, ma in tutta onestà era difficile per teinvecchiare peggio di così. Peccato.

venerdì 29 gennaio 2016

IL DITO NELL'OCCHIO...ASSOCIAZIONE CULTURALE


4000 ANNI DI STORIA DELLA SICILIA IN MOSTRA AL BRITISH MUSEUM


È la prima mostra del Regno Unito interamente dedicata all'arte siciliana. Al British Museum di Londra dal 21 Aprile al 14 Agosto 2016.


4000 anni di storia della Sicilia in mostra al British Museum






Il British Museum di Londra dedica alla Sicilia e alla sua storia pluri-millenaria una nuova esibizione dal 21 Aprile al 14 Agosto 2016. La mostra, dal titolo “Sicily: Culture and Conquest” è stata realizzata in collaborazione con la Regione Siciliana e con lo sponsor Julius Bear, ed è la prima mostra di sempre in UK interamente dedicata alla Sicilia.
Ad attrarre i curatori del British Museum è stata la straordinaria qualità e varietà della produzione artistica siciliana. Nell’arco di oltre 4,000 anni Fenici, Greci, Romani, Bizantini, Arabi e Normanni si sono alternati nell’isola, creando, come scrive il British nel presentare la mostra “un’identità culturale diversa da qualsiasi altra“.
Screen Shot 2016-01-28 at 11.35.56L’esibizione coprirà l’intero arco di storia della Sicilia, con un focus particolare su due periodi: quello Greco e quello Normanno (11-13mo secolo). Lo farà presentando oltre 200 oggetti e opere d’arte. Tra questi vi sono oggetti della collezione permanente del British Museum insieme a opere in prestito da musei di tutto il mondo, dal Metropolitan di New York al Bodleain di Oxford, insieme ad altre provenienti dalla Sicilia.
L’annuncio della mostra è stato dato oggi dal British Museum questa mattina su Twitter (con l’hashtag#SicilyExhibition) e su Periscope, con una diretta videonel quale i curatori della mostra hanno presentato alcune delle opere incluse nella mostra. Tra queste una moneta (dalla forma curiosamente simile a quella dei 20p britannici) coniata da Ruggero II nel 1138, la prima moneta a usare i numeri arabici.
Screen Shot 2016-01-28 at 11.36.10L’esibizione del British Museum sulla Sicilia sarà anche l’occasione per portare a Londra la Sicilia moderna.  Nell’arco dei 4 mesi di apertura della mostra sono previsti numerosi eventi a tema, come ad esempiocorsi di cucina siciliana, mentre nel Great Court del British Museum si ascolterà la musica dell’isola.
Londra, 28/1/2016
La mostra “Sicily: Culture and Conquest” al British Museum di Londra rimarrà aperta dal 21 Aprile al 14 Agosto 2016.  Gli ingressi possono essere acquistati in prevendita sul sito del museo. Il costo è di £10
foto: British Museum

mercoledì 27 gennaio 2016

27 GENNAIO 1945 : L'ARMATA ROSSA LIBERA AWSCHWITZ

Ottimo 
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Il 27 gennaio 1945 l’Armata Rossa spalancava i cancelli del campo di concentramento di Auschwitz, liberando gli ultimi sopravvissuti, circa 7mila prigionieri. Le celebrazioni per la Giornata della Memoria che si tengono il 27 gennaio di ogni anno, oltre a rimuovere il ruolo dell'Armata Rossa nella Liberazione del campo di sterminio simbolo della ferocia nazista, si accentrano unicamente sull'antisemitismo nazista riducendo il significato del mostruoso progetto di purificazione della razza ariana a una discriminazione razziale nei confronti degli ebrei. L'Olocausto fu molto di più: negli anni del nazifascismo milioni di persone furono deportate per le proprie opinioni politiche, perché appartenenti a minoranze etniche o religiose o a gruppi sociali considerati devianti (omosessuali, malati di mente, disabili). Le vittime furono fra i 13 e i 19 milioni. Gli ebrei usano la parola Shoah, che significa distruzione, per definire il tentativo di genocidio.
 Circa 6 dei 9,5 milioni di ebrei che vivevano in Europa scomparvero in pochi anni. Gli ebrei nei campi di sterminio erano contraddistinti da una stella a 6 punte gialla. I popoli rom e i sinti avevano invece il triangolo nero… Anche loro furono perseguitati per motivi razziali. Porrajmos, che significa divoramento, è il nome che questi popoli hannno dato alla loro persecuzione, in pochi anni il numero di rom e sinti in Europa passò da quasi un milione a 500.000 persone. Per loro nei campi di concentramento e sterminio sono stati costruiti capannoni appositi: erano segregati persino tra i segregati. 
Ma la difesa della razza era anche lo sterminio dei disabili fisici o mentali: Già prima della guerra era stato predisposto il programma Aktion t4.
Gli scienziati tedeschi elaborarono una teoria dell’eutanasia sociale, secondo cui bisognava porre fine alle vite non degne di essere vissute, le Lebensunwertes Leben. In tal modo si sarebbero risparmiate inutili sofferenze a individui irrecuperabili ed in più si sarebbe garantito che non riproducendosi non avrebbero indebolito la razza. I malati psichici furono spesso utilizzati come cavie umane dagli scienziati nazisti, e il governo tedesco promosse una vasta campagna di sterilizzazione dei malati che avrebbero potuto infettare la razza, coerentemente con le idee eugenetiche in voga tra gli scienziati razzisti tedeschi ed italiani.


Venivano considerati malati anche i prigionieri dei lager che portavano il triangolo rosa: gli omosessuali. Oggi la comunità gay si riferisce a quel che accadde negli anni bui del nazifascismo con il nome Omocausto. Furono 100.000 i deportati omosessuali dell’olocausto, sottoposti a cure per riportarli alla “normalità”, spesso veniva promesso loro che se si fossero sottoposti a castrazione volontaria sarebbero stati liberi… ovviamente si trattava di vane illusioni. Gli omosessuali furono vittime di stupri e scherno persino da parte degli altri deportati, successivamente la memoria della loro persecuzione fu la più difficile da far emergere: dava fastidio persino agli altri sopravvissuti degli eccidi nazisti. Dopo la caduta del regime nazista molti omosessuali finorono di scontare la loro pena per omosessualità nelle carceri della Germania “liberata”.
Il triangolo rosso cucito sugli abiti nei lager segnalava un altro tipo di prigionieri: gli oppositori politici. 4.350.000 tra comunisti, liberali, antifascisti in genere furono deportati con accuse quali resistenza ideologica, sabotaggi, tentata evasione. Per i nazisti erano in odor di marxismo anche i cosiddetti “Bibelforscher“, i testimoni di Geova, l’unica minoranza ad essere perseguitata per motivi religiosi. Il loro triangolo era viola. I testimoni di Geova rifiutavano il servizio militare e il saluto nazista Heil Hitler, in quanto incompatibili con la loro religione: la loro convinzione è che esiste un solo Dio, Geova, e che solo a lui, e a nessun altro potente, nemmeno a Hitler, spetta il saluto. Negli anni del Terzo Reich circa 10.000 testimoni di Geova, per la maggior parte di nazionalità tedesca, vennero imprigionati nei campi di concentramento.
Oggi ricordiamo tutte le vittime del nazismo e respingiamo ogni tipo di darwinismo sociale e di annientamento del diverso, sia che questo avvenga tramite mostruosi piani di eliminazione di massa, sia tramite non meno mostruose politiche di smantellamento della solidarietà sociale e dei servizi per i più deboli.  

domenica 24 gennaio 2016

FALSI BENEFATTORI CHE PRETENDONO TASSI STELLARI. ECCO L'IDENTIKIT DI CHI SPECULA PRESTANDO SOLDI


Per gli addetti ai lavori, alla base del cammino che conduce le future vittime verso la condizione di usurati ci sono degli «incidenti di percorso», cose che non erano programmate ma sono accadute, quali: accumulo di debiti, mancati pagamenti, improvvisa esposizione, favorita magari da situazioni contingenti quali il ritardo di alcuni incassi, un affare andato male, ecc.. La seconda tappa è costituita dalla chiusura delle linee di credito da parte delle banche, le quali, superata una certa soglia di rischio, non solo non concedono ulteriori crediti ma, anzi, chiedono il rientro dalle esposizioni maturate, in tempi molto stretti. Ecco allora che l'istituto di credito fa valere le garanzie, ipoteche sugli immobili, pignoramenti, ecc. Se il rientro non avviene entro i termini viene effettuata la segnalazione alla centrale rischi dell'Abi. Da questo momento in poi ogni rapporto con le banche è precluso. Preclusa la via delle banche, il soggetto si rivolge alla finanziarie e trova il modo di ottenere dei prestiti, ma naturalmente a un tasso di interesse sensibilmente superiore. Ciò accresce il suo carico debitorio e l'incapacità di farvi fronte, il più delle volte anche il rapporto con la società finanziaria entra così in crisi. A questo punto si verifica a volte un passaggio intermedio, ossia il ricorso a prestiti concessi da «pseudo-finanziarie» di dubbia collocazione, ma il più delle volte il soggetto è già dentro l'usura in questa fase, anche perché i tassi di interesse applicati sono già ben oltre i limiti di legge o comunque border line. L'ultimo passo è quello di rivolgersi ad un usuraio vero e proprio, anche perché il soggetto in difficoltà si ostina il più delle volte a portare avanti attività economiche ormai compromesse, accumulando ulteriori debiti. Si inizia con piccoli prestiti, all'inizio i tassi sono sostenibili, ma con il tempo aumentano, al crescere del rapporto di dipendenza dell'usurato con l'usuraio. Secondo L'Osservatorio Tecnico Scientifico per la Sicurezza e la Legalità della Regione Lazio ogni provincia ha una caratteristica per descrivere il fenomeno. Nella provincia di Rieti troviamo l'usuraio di quartiere, persona discreta, molto conosciuta e ben introdotta nella sua zona di riferimento. Esercita in modo efficace una certa pressione psicologica sulle sue vittime. L'amico benefattore, di solito una persona molto distinta. «Aiuta» l'usurato, inizialmente con piccole somme, che poi aumentano di volta in volta fino a raggiungere livelli consistenti. A rapporto avviato, getta la maschera e inizia ad esercitare una certa pressione psicologica, soprattutto in caso di scadenze non onorate. M. S.
Redazione online
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giovedì 21 gennaio 2016

E CONTINUANO A FARE IMPICCMENT......


BY  · 30 NOVEMBRE 2015


Contratto di ricollocazione, perplessità sulla stipula della graduatoria finale. Dubbi anche per il consigliere regionale Fabrizio Santori, che in merito ha presentato interrogazione presso il consiglio regionale
Il discorso di Zingaretti al Consiglio Regionale
DANIELE LEODORI ELETTO PRESIDENTE DEL CONSIGLIO REGIONALE DEL LAZIO
ROMA 25 MARZO 2013 Roberto Tedeschi - ANSA

Nell’ambito del POR FSE 2014-2020, il contratto di ricollocazione e il fondo a questo destinato hanno l’obiettivo di restituire la capacità lavorati ai disoccupati di lunga durata over 30 che per svariate ragioni l’hanno persa da almeno 12 mesi. La graduatoria è stata stipulata secondo quanto elencato al punto 8 del suddetto bando in base alla minore età e al minor periodo di disoccupazione dei richiedenti, per un totale di 2000 nominativi.
Prime perplessità, l’età anagrafica – I partecipanti al fondo potevano e dovevano essere disoccupati da almeno 12 mesi, di età compresa fra i 30 e i 65 anni. Di contro, fra gli aventi diritto, a parità di anzianità di disoccupazione, avrebbe prevalso la minore età del candidato, così come riportato nel punto 8 a cui abbiamo accennato nella premessa. Fatto salvo i requisiti di anzianità, insomma, una maggiore età in capo ad alcuni candidati ha escluso che questi potessero entrare in graduatoria, quando in realtà a dover accedere al fondo dovevano forse essere proprio quei lavoratori che, in mancanza di sgravi e sussidi, si trovano esclusi dal mercato del lavoro.
Il pasticcio del 2009 e la scelta delle agenzie private – Interessante a riguardo, ciò che scrive Fabrizio Santori all’interno di una sua interrogazione datata 7 ottobre presentata in Consiglio Regionale, data antecedente alla stipula della graduatoria definitiva. In particolare, Santori chiede di escludere il ripetersi di quanto accaduto nel 2009, con numerosi candidati appartenenti presumibilmente allo stesso nucleo familiare a succedersi in graduatoria. Il fatto fu denunciato da molti cittadini e associazione proprio per la “similitudine” di alcuni codici fiscali. Nell’interrogazione di Fabrizio Santori, inoltre, questi domanda dell’opportunità di affidare la determina della graduatoria a delle agenzie private del lavoro, invece di potenziare gli uffici pubblici preposti, a partire da Portafuturo e tutte le strutture di natura statale già esistenti su base regionale e comunale.

martedì 19 gennaio 2016

FUGA DI CERVELLI DALL'ITALIA : IL 34% DI GIOVANI SCAPPA VIA



La maggior parte uomini non sposati, neolaureati in medicina.

Fuga di cervelli dall’Italia: aumentano del 34% i giovani che scappano dal bel Paese

Anno nuovo, vita nuova? Non proprio: sono ancora tanti gli italiani che decidono di andare all’estero in cerca di un lavoro, in particolare i cittadini appartenenti alla fascia dei giovani fra 18 e 39 anni e che abitano nelle grandi città. In base a un documento della Camera di Commercio di Milano e Brianza, condotto sulla base dei dati Istat, sono stati poco meno di 90mila i cittadini che si sono trasferiti fuori dal nostro Paese nel 2015, in aumento rispetto al 2012 del 12,7%.
Negli ultimi due anni le percentuali fra gli under 40 lievitano al 34,4% del totale, ovvero 3,3 giovani ogni mille abitanti sono partiti in cerca di fortuna all’estero, dirigendosi prevalentemente verso Regno Unito, Germania, Svizzera, Francia e Stati Uniti.
Milano, la metropoli che ha perso più abitanti
Sempre riguardo a 2015, si rileva che Milano è stata la metropoli che ha perso più residenti (3.300), seguita da Roma (2.450), Napoli (1.885) e Torino (1.653), anche se negli ultimi due anni il flusso di emigrazioni sta rallentando a Milano, dove il numero di trasferimenti è aumentato di 451 unità rispetto a Roma, Napoli e Palermo che hanno invece registrato incrementi più marcati.
Sono state le province di Bolzano, Imperia, Trieste, Pavia quelle che hanno registrato il maggior numero di cambi di residenza, mentre quelle di Foggia, Caserta e Taranto un valore più basso rispetto al numero di abitanti complessivo.
Questo fenomeno incide sulla nostra spesa pubblica, perché il sistema scolastico spende per formare giovani che investiranno le loro conoscenze in un altro Paese: secondo una stima, dal 2008 al 2015 gli italiani emigrati all’estero sono costati allo Stato 23 miliardi di euro in formazione.

La categoria più rappresentativa della tendenza è quella dei medici appena laureati, che nel 2015 ha fatto registrare un boom di emigrazioni (2.363). Ci sono diversi studi all’attivo per monitorare la “fuga di cervelli” dall’Italia, fra questi quello della Fondazione Migrantes che ha registrato 101.297 espatri solo nel 2015, con una crescita del 7,6% rispetto al 2014.
Questi sono prevalentemente uomini e non sposati, tra i 18 e 34 anni, partiti soprattutto dal nord e diretti verso la Germania, anche se il Regno Unito rimane sempre ai primi posti della classifica delle mete più gettonate per l’espatrio.

"NESSUNO IN ITALIA PENSA AL FUTURO, TRA 40 ANNI SARA' UN DISASTRO"


Parla Alessandro Rosina, demografo dell’Università Cattolica di Milano: «La politica pensa all’immediato. E i giovani hanno sospeso il giudizio sul futuro. La popolazione inattiva aumenta, mentre la fascia più produttiva si riduce»


Pensare al futuro non è lo sport più amato dagli italiani. Siamo puntualmente travolti dalle “emergenze”, dall’immigrazione al dissesto idrogeologico alla precarietà. Che vuol dire che non siamo in grado (o non vogliamo) prevederle, anche quando i sintomi sono sotto gli occhi di tutti. Ogni annuncio o decisione sono fatti per avere effetti elettorali immediati. Qui e ora. Che ce ne frega dell’Italia tra dieci anni. Altrimenti non si spiegherebbe perché diamo 500 euro ora a una mandria di 18enni, dei quali quattro su dieci non troveranno un lavoro.

Guardare le dinamiche demografiche in corso, però, aiuta a capire dove stiamo andando. E l’immagine dell’Italia che ci arriva dal futuro è quella di un Paese dominato dai capelli grigi. Entro il 2030 ci sarà una regione in più, grande quanto la Toscana, composta solo da over 65. Che saranno ancora al lavoro, mentre i 40enni manderanno ancora curriculum. «La popolazione italiana diventa anziana. E anche l’immigrazione, che finora ha in parte bilanciato l’invecchiamento, va via via diminuendo per via della crisi economica», dice Alessandro Rosina, demografo dell’Università Cattolica di Milano. «Qui nessuno pensa al futuro. Non ci pensano i politici, e i giovani per forza di cose hanno sospeso il giudizio. Ma tra quarant’anni sarà un disastro».                         Dicembre 2015 - 08:15

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