venerdì 29 gennaio 2016

4000 ANNI DI STORIA DELLA SICILIA IN MOSTRA AL BRITISH MUSEUM


È la prima mostra del Regno Unito interamente dedicata all'arte siciliana. Al British Museum di Londra dal 21 Aprile al 14 Agosto 2016.


4000 anni di storia della Sicilia in mostra al British Museum






Il British Museum di Londra dedica alla Sicilia e alla sua storia pluri-millenaria una nuova esibizione dal 21 Aprile al 14 Agosto 2016. La mostra, dal titolo “Sicily: Culture and Conquest” è stata realizzata in collaborazione con la Regione Siciliana e con lo sponsor Julius Bear, ed è la prima mostra di sempre in UK interamente dedicata alla Sicilia.
Ad attrarre i curatori del British Museum è stata la straordinaria qualità e varietà della produzione artistica siciliana. Nell’arco di oltre 4,000 anni Fenici, Greci, Romani, Bizantini, Arabi e Normanni si sono alternati nell’isola, creando, come scrive il British nel presentare la mostra “un’identità culturale diversa da qualsiasi altra“.
Screen Shot 2016-01-28 at 11.35.56L’esibizione coprirà l’intero arco di storia della Sicilia, con un focus particolare su due periodi: quello Greco e quello Normanno (11-13mo secolo). Lo farà presentando oltre 200 oggetti e opere d’arte. Tra questi vi sono oggetti della collezione permanente del British Museum insieme a opere in prestito da musei di tutto il mondo, dal Metropolitan di New York al Bodleain di Oxford, insieme ad altre provenienti dalla Sicilia.
L’annuncio della mostra è stato dato oggi dal British Museum questa mattina su Twitter (con l’hashtag#SicilyExhibition) e su Periscope, con una diretta videonel quale i curatori della mostra hanno presentato alcune delle opere incluse nella mostra. Tra queste una moneta (dalla forma curiosamente simile a quella dei 20p britannici) coniata da Ruggero II nel 1138, la prima moneta a usare i numeri arabici.
Screen Shot 2016-01-28 at 11.36.10L’esibizione del British Museum sulla Sicilia sarà anche l’occasione per portare a Londra la Sicilia moderna.  Nell’arco dei 4 mesi di apertura della mostra sono previsti numerosi eventi a tema, come ad esempiocorsi di cucina siciliana, mentre nel Great Court del British Museum si ascolterà la musica dell’isola.
Londra, 28/1/2016
La mostra “Sicily: Culture and Conquest” al British Museum di Londra rimarrà aperta dal 21 Aprile al 14 Agosto 2016.  Gli ingressi possono essere acquistati in prevendita sul sito del museo. Il costo è di £10
foto: British Museum

mercoledì 27 gennaio 2016

27 GENNAIO 1945 : L'ARMATA ROSSA LIBERA AWSCHWITZ

Ottimo 
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Il 27 gennaio 1945 l’Armata Rossa spalancava i cancelli del campo di concentramento di Auschwitz, liberando gli ultimi sopravvissuti, circa 7mila prigionieri. Le celebrazioni per la Giornata della Memoria che si tengono il 27 gennaio di ogni anno, oltre a rimuovere il ruolo dell'Armata Rossa nella Liberazione del campo di sterminio simbolo della ferocia nazista, si accentrano unicamente sull'antisemitismo nazista riducendo il significato del mostruoso progetto di purificazione della razza ariana a una discriminazione razziale nei confronti degli ebrei. L'Olocausto fu molto di più: negli anni del nazifascismo milioni di persone furono deportate per le proprie opinioni politiche, perché appartenenti a minoranze etniche o religiose o a gruppi sociali considerati devianti (omosessuali, malati di mente, disabili). Le vittime furono fra i 13 e i 19 milioni. Gli ebrei usano la parola Shoah, che significa distruzione, per definire il tentativo di genocidio.
 Circa 6 dei 9,5 milioni di ebrei che vivevano in Europa scomparvero in pochi anni. Gli ebrei nei campi di sterminio erano contraddistinti da una stella a 6 punte gialla. I popoli rom e i sinti avevano invece il triangolo nero… Anche loro furono perseguitati per motivi razziali. Porrajmos, che significa divoramento, è il nome che questi popoli hannno dato alla loro persecuzione, in pochi anni il numero di rom e sinti in Europa passò da quasi un milione a 500.000 persone. Per loro nei campi di concentramento e sterminio sono stati costruiti capannoni appositi: erano segregati persino tra i segregati. 
Ma la difesa della razza era anche lo sterminio dei disabili fisici o mentali: Già prima della guerra era stato predisposto il programma Aktion t4.
Gli scienziati tedeschi elaborarono una teoria dell’eutanasia sociale, secondo cui bisognava porre fine alle vite non degne di essere vissute, le Lebensunwertes Leben. In tal modo si sarebbero risparmiate inutili sofferenze a individui irrecuperabili ed in più si sarebbe garantito che non riproducendosi non avrebbero indebolito la razza. I malati psichici furono spesso utilizzati come cavie umane dagli scienziati nazisti, e il governo tedesco promosse una vasta campagna di sterilizzazione dei malati che avrebbero potuto infettare la razza, coerentemente con le idee eugenetiche in voga tra gli scienziati razzisti tedeschi ed italiani.


Venivano considerati malati anche i prigionieri dei lager che portavano il triangolo rosa: gli omosessuali. Oggi la comunità gay si riferisce a quel che accadde negli anni bui del nazifascismo con il nome Omocausto. Furono 100.000 i deportati omosessuali dell’olocausto, sottoposti a cure per riportarli alla “normalità”, spesso veniva promesso loro che se si fossero sottoposti a castrazione volontaria sarebbero stati liberi… ovviamente si trattava di vane illusioni. Gli omosessuali furono vittime di stupri e scherno persino da parte degli altri deportati, successivamente la memoria della loro persecuzione fu la più difficile da far emergere: dava fastidio persino agli altri sopravvissuti degli eccidi nazisti. Dopo la caduta del regime nazista molti omosessuali finorono di scontare la loro pena per omosessualità nelle carceri della Germania “liberata”.
Il triangolo rosso cucito sugli abiti nei lager segnalava un altro tipo di prigionieri: gli oppositori politici. 4.350.000 tra comunisti, liberali, antifascisti in genere furono deportati con accuse quali resistenza ideologica, sabotaggi, tentata evasione. Per i nazisti erano in odor di marxismo anche i cosiddetti “Bibelforscher“, i testimoni di Geova, l’unica minoranza ad essere perseguitata per motivi religiosi. Il loro triangolo era viola. I testimoni di Geova rifiutavano il servizio militare e il saluto nazista Heil Hitler, in quanto incompatibili con la loro religione: la loro convinzione è che esiste un solo Dio, Geova, e che solo a lui, e a nessun altro potente, nemmeno a Hitler, spetta il saluto. Negli anni del Terzo Reich circa 10.000 testimoni di Geova, per la maggior parte di nazionalità tedesca, vennero imprigionati nei campi di concentramento.
Oggi ricordiamo tutte le vittime del nazismo e respingiamo ogni tipo di darwinismo sociale e di annientamento del diverso, sia che questo avvenga tramite mostruosi piani di eliminazione di massa, sia tramite non meno mostruose politiche di smantellamento della solidarietà sociale e dei servizi per i più deboli.  

domenica 24 gennaio 2016

FALSI BENEFATTORI CHE PRETENDONO TASSI STELLARI. ECCO L'IDENTIKIT DI CHI SPECULA PRESTANDO SOLDI


Per gli addetti ai lavori, alla base del cammino che conduce le future vittime verso la condizione di usurati ci sono degli «incidenti di percorso», cose che non erano programmate ma sono accadute, quali: accumulo di debiti, mancati pagamenti, improvvisa esposizione, favorita magari da situazioni contingenti quali il ritardo di alcuni incassi, un affare andato male, ecc.. La seconda tappa è costituita dalla chiusura delle linee di credito da parte delle banche, le quali, superata una certa soglia di rischio, non solo non concedono ulteriori crediti ma, anzi, chiedono il rientro dalle esposizioni maturate, in tempi molto stretti. Ecco allora che l'istituto di credito fa valere le garanzie, ipoteche sugli immobili, pignoramenti, ecc. Se il rientro non avviene entro i termini viene effettuata la segnalazione alla centrale rischi dell'Abi. Da questo momento in poi ogni rapporto con le banche è precluso. Preclusa la via delle banche, il soggetto si rivolge alla finanziarie e trova il modo di ottenere dei prestiti, ma naturalmente a un tasso di interesse sensibilmente superiore. Ciò accresce il suo carico debitorio e l'incapacità di farvi fronte, il più delle volte anche il rapporto con la società finanziaria entra così in crisi. A questo punto si verifica a volte un passaggio intermedio, ossia il ricorso a prestiti concessi da «pseudo-finanziarie» di dubbia collocazione, ma il più delle volte il soggetto è già dentro l'usura in questa fase, anche perché i tassi di interesse applicati sono già ben oltre i limiti di legge o comunque border line. L'ultimo passo è quello di rivolgersi ad un usuraio vero e proprio, anche perché il soggetto in difficoltà si ostina il più delle volte a portare avanti attività economiche ormai compromesse, accumulando ulteriori debiti. Si inizia con piccoli prestiti, all'inizio i tassi sono sostenibili, ma con il tempo aumentano, al crescere del rapporto di dipendenza dell'usurato con l'usuraio. Secondo L'Osservatorio Tecnico Scientifico per la Sicurezza e la Legalità della Regione Lazio ogni provincia ha una caratteristica per descrivere il fenomeno. Nella provincia di Rieti troviamo l'usuraio di quartiere, persona discreta, molto conosciuta e ben introdotta nella sua zona di riferimento. Esercita in modo efficace una certa pressione psicologica sulle sue vittime. L'amico benefattore, di solito una persona molto distinta. «Aiuta» l'usurato, inizialmente con piccole somme, che poi aumentano di volta in volta fino a raggiungere livelli consistenti. A rapporto avviato, getta la maschera e inizia ad esercitare una certa pressione psicologica, soprattutto in caso di scadenze non onorate. M. S.
Redazione online
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giovedì 21 gennaio 2016

E CONTINUANO A FARE IMPICCMENT......


BY  · 30 NOVEMBRE 2015


Contratto di ricollocazione, perplessità sulla stipula della graduatoria finale. Dubbi anche per il consigliere regionale Fabrizio Santori, che in merito ha presentato interrogazione presso il consiglio regionale
Il discorso di Zingaretti al Consiglio Regionale
DANIELE LEODORI ELETTO PRESIDENTE DEL CONSIGLIO REGIONALE DEL LAZIO
ROMA 25 MARZO 2013 Roberto Tedeschi - ANSA

Nell’ambito del POR FSE 2014-2020, il contratto di ricollocazione e il fondo a questo destinato hanno l’obiettivo di restituire la capacità lavorati ai disoccupati di lunga durata over 30 che per svariate ragioni l’hanno persa da almeno 12 mesi. La graduatoria è stata stipulata secondo quanto elencato al punto 8 del suddetto bando in base alla minore età e al minor periodo di disoccupazione dei richiedenti, per un totale di 2000 nominativi.
Prime perplessità, l’età anagrafica – I partecipanti al fondo potevano e dovevano essere disoccupati da almeno 12 mesi, di età compresa fra i 30 e i 65 anni. Di contro, fra gli aventi diritto, a parità di anzianità di disoccupazione, avrebbe prevalso la minore età del candidato, così come riportato nel punto 8 a cui abbiamo accennato nella premessa. Fatto salvo i requisiti di anzianità, insomma, una maggiore età in capo ad alcuni candidati ha escluso che questi potessero entrare in graduatoria, quando in realtà a dover accedere al fondo dovevano forse essere proprio quei lavoratori che, in mancanza di sgravi e sussidi, si trovano esclusi dal mercato del lavoro.
Il pasticcio del 2009 e la scelta delle agenzie private – Interessante a riguardo, ciò che scrive Fabrizio Santori all’interno di una sua interrogazione datata 7 ottobre presentata in Consiglio Regionale, data antecedente alla stipula della graduatoria definitiva. In particolare, Santori chiede di escludere il ripetersi di quanto accaduto nel 2009, con numerosi candidati appartenenti presumibilmente allo stesso nucleo familiare a succedersi in graduatoria. Il fatto fu denunciato da molti cittadini e associazione proprio per la “similitudine” di alcuni codici fiscali. Nell’interrogazione di Fabrizio Santori, inoltre, questi domanda dell’opportunità di affidare la determina della graduatoria a delle agenzie private del lavoro, invece di potenziare gli uffici pubblici preposti, a partire da Portafuturo e tutte le strutture di natura statale già esistenti su base regionale e comunale.

martedì 19 gennaio 2016

FUGA DI CERVELLI DALL'ITALIA : IL 34% DI GIOVANI SCAPPA VIA



La maggior parte uomini non sposati, neolaureati in medicina.

Fuga di cervelli dall’Italia: aumentano del 34% i giovani che scappano dal bel Paese

Anno nuovo, vita nuova? Non proprio: sono ancora tanti gli italiani che decidono di andare all’estero in cerca di un lavoro, in particolare i cittadini appartenenti alla fascia dei giovani fra 18 e 39 anni e che abitano nelle grandi città. In base a un documento della Camera di Commercio di Milano e Brianza, condotto sulla base dei dati Istat, sono stati poco meno di 90mila i cittadini che si sono trasferiti fuori dal nostro Paese nel 2015, in aumento rispetto al 2012 del 12,7%.
Negli ultimi due anni le percentuali fra gli under 40 lievitano al 34,4% del totale, ovvero 3,3 giovani ogni mille abitanti sono partiti in cerca di fortuna all’estero, dirigendosi prevalentemente verso Regno Unito, Germania, Svizzera, Francia e Stati Uniti.
Milano, la metropoli che ha perso più abitanti
Sempre riguardo a 2015, si rileva che Milano è stata la metropoli che ha perso più residenti (3.300), seguita da Roma (2.450), Napoli (1.885) e Torino (1.653), anche se negli ultimi due anni il flusso di emigrazioni sta rallentando a Milano, dove il numero di trasferimenti è aumentato di 451 unità rispetto a Roma, Napoli e Palermo che hanno invece registrato incrementi più marcati.
Sono state le province di Bolzano, Imperia, Trieste, Pavia quelle che hanno registrato il maggior numero di cambi di residenza, mentre quelle di Foggia, Caserta e Taranto un valore più basso rispetto al numero di abitanti complessivo.
Questo fenomeno incide sulla nostra spesa pubblica, perché il sistema scolastico spende per formare giovani che investiranno le loro conoscenze in un altro Paese: secondo una stima, dal 2008 al 2015 gli italiani emigrati all’estero sono costati allo Stato 23 miliardi di euro in formazione.

La categoria più rappresentativa della tendenza è quella dei medici appena laureati, che nel 2015 ha fatto registrare un boom di emigrazioni (2.363). Ci sono diversi studi all’attivo per monitorare la “fuga di cervelli” dall’Italia, fra questi quello della Fondazione Migrantes che ha registrato 101.297 espatri solo nel 2015, con una crescita del 7,6% rispetto al 2014.
Questi sono prevalentemente uomini e non sposati, tra i 18 e 34 anni, partiti soprattutto dal nord e diretti verso la Germania, anche se il Regno Unito rimane sempre ai primi posti della classifica delle mete più gettonate per l’espatrio.

"NESSUNO IN ITALIA PENSA AL FUTURO, TRA 40 ANNI SARA' UN DISASTRO"


Parla Alessandro Rosina, demografo dell’Università Cattolica di Milano: «La politica pensa all’immediato. E i giovani hanno sospeso il giudizio sul futuro. La popolazione inattiva aumenta, mentre la fascia più produttiva si riduce»


Pensare al futuro non è lo sport più amato dagli italiani. Siamo puntualmente travolti dalle “emergenze”, dall’immigrazione al dissesto idrogeologico alla precarietà. Che vuol dire che non siamo in grado (o non vogliamo) prevederle, anche quando i sintomi sono sotto gli occhi di tutti. Ogni annuncio o decisione sono fatti per avere effetti elettorali immediati. Qui e ora. Che ce ne frega dell’Italia tra dieci anni. Altrimenti non si spiegherebbe perché diamo 500 euro ora a una mandria di 18enni, dei quali quattro su dieci non troveranno un lavoro.

Guardare le dinamiche demografiche in corso, però, aiuta a capire dove stiamo andando. E l’immagine dell’Italia che ci arriva dal futuro è quella di un Paese dominato dai capelli grigi. Entro il 2030 ci sarà una regione in più, grande quanto la Toscana, composta solo da over 65. Che saranno ancora al lavoro, mentre i 40enni manderanno ancora curriculum. «La popolazione italiana diventa anziana. E anche l’immigrazione, che finora ha in parte bilanciato l’invecchiamento, va via via diminuendo per via della crisi economica», dice Alessandro Rosina, demografo dell’Università Cattolica di Milano. «Qui nessuno pensa al futuro. Non ci pensano i politici, e i giovani per forza di cose hanno sospeso il giudizio. Ma tra quarant’anni sarà un disastro».                         Dicembre 2015 - 08:15

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sabato 16 gennaio 2016

Disoccupato, non cerco (piu') lavoro : l'identikit di 3,3 milioni di "cadaveri economici" ai quali lo Stato deve insegnare a credere nuovamente nel futuro.

Disoccupato, non cerco (più) lavoro: l'identikit di 3,3 milioni di 'cadaveri economici' ai quali lo Stato deve insegnare a credere nuovamente nel futuro

di  20.01.2014 9:05 CET
Disoccupazione
Repertorio: un cartello ai tempi della Grande Depressione. Flickr
"Perinde ac cadaver" dicevano i gesuiti: 'nello stesso modo di un cadavere', sottomissione assoluta alle regole dell'ordine, annientamento della propria personalità. Traslando il tutto ai giorni nostri, purtroppo, un nuovo domino - un nuovo padrone - regna nelle menti di molti italiani: è la Crisi che, nelle sue manifestazioni e in tutta la sua potenza, è riuscita ad offuscare la vista di molti, troppi, cittadini del Bel Paese. Una crisi che dura da molto tempo, uno status quo che ha sfiancato anche i più ottimisti e che è riuscito nell'arduo compito di uccidere ogni residua speranza per il futuro. Tempo fa era materia quotidiana leggere della 'luce in fondo al tunnel': un tunnel buio, lungo, percorso fino allo stremo da molti italiani. La luce non si è vista, le speranze sono svanite e in molti si sono convinti che 'il buio' è la loro nuova casa.
Fuor di metafora, a questa descrizione rispondono - lo conferma l'Eurostat - più di 3,3 milioni di persone. Non hanno un lavoro, ovviamente, ma non sono nemmeno disoccupati: la disoccupazione, infatti, è il risvolto negativo di una ricerca attiva e costante del lavoro. Se si è senza impiego, disponibili a lavorare ma senza cercarlo attivamente, non ci si può definire 'disoccupati': queste le ferree regole economico-statistiche del gioco. Ecco, così, che si forma un 'esercito' che - nolente - giura fedeltà alla madre-Crisi: gli ultimi anni bui hanno rimosso ogni speranza, la crisi diventa causa ed effetto del loro stato di 'cadaveri economici'.
I numeri, solido appiglio alla realtà, non sono da sottovalutare. Parliamo di uno 'status' che tocca da vicino il 13,1% della forza lavoro tricolore: siamo tre volte oltre la media dei Paesi Ue-28 (4,1%). Se nel terzo trimestre 2013 il dato cresceva, su base tendenziale, dello 0,4% in Europa, il nostro Paese registrava un incremento di ben 0,9 punti percentuali (+219 000 unità rispetto al trimestre precedente), oltre il doppio della media europea quindi. Guardare le statistiche degli altri Paesi ci avvilisce: 10,1 in Croazia, 5,1 in Spagna (pur sempre con la disoccupazione sopra al 26%). Poi quel gap che diventa apparentemente incolmabile con il Regno Unito (2,5%) e la Germania con il suo 1,3%. 'Il lavoro nobilita l'uomo' si dice: eppure ben 6,15 milioni di italiani devono farne a meno. Quasi tre milioni di persone, in aumento, cercano e non trovano lavoro. Le altre, di cui accennato fino ad ora, sono cadute vittime del sortilegio della crisi e non lo cercano più. Sono individui scoraggiati, certamente, ma anche mortificati dal corso di questi eventi che sembrerebbe palesare una loro 'inutilità' nel mondo del lavoro attuale: nulla di più erroneo. La mancanza di convinzione, afferma la statistica, ne affligge quasi la metà: 1,518 milioni sui 3,3 totali. Due 'scoraggiati' su tre (1,068 milioni) vivono nel Sud Italia.
C'è bisogno di un aiuto, non piccolo, da parte dello Stato. Un intervento dalla duplice natura. La necessità di 'lustrare' un mercato del lavoro decisamente opaco è un fatto innegabile. Ma non deve, e non può, fermarsi qui il compito dello Stato. La crisi, diventata cronica nella mente di molti cittadini senza lavoro, deve essere estirpata con iniziative valide. Bisogna fare attenzione, però, perché il disoccupato, così come lo scoraggiato che non cerca più lavoro, è una persona ferita nell'orgoglio, non una ingenua: annunci urbi et orbi di fantomatici futuri rosei, magari basati sull'escamotage di turno sulle statistiche nazionali, non lo conquisteranno. Anzi. Si deve ristabilire un duplice rapporto di fiducia tra lo Stato ed il cittadino e tra lo stesso cittadino ed il mercato del lavoro. Compito non semplice che altro non fa che palesare quanto la risoluzione di questo problema, in Italia, sia di fondamentale importanza per sperare (e magari arrivare a vivere) in un futuro migliore. 

venerdì 15 gennaio 2016

I BLUFF DELL'OCCUPAZIONE CHE SALE

l bluff dell'occupazione che sale

Sui dati pesano l'invecchiamento della popolazione e le pensioni, tanto è che cresce la disoccupazione giovanile

Dati non incoraggianti sul fronte del lavoro, anche se il governo e il Pd sbandierano gli "ottimi risultati".
Il tasso di disoccupazione a ottobre, pari all'11,5%, resta "sostanzialmente invariato" dopo il calo dei tre mesi precedenti. Nei dodici mesi la disoccupazione diminuisce di 12,3 punti percentuali (-410 mila persone in cerca di lavoro) e il tasso di disoccupazione di 1,4 punti. La stima dei disoccupati a ottobre diminuisce dello 0,5% (-13 mila), con il calo che riguarda le donne e la popolazione di età superiore a 34 anni. Ma non è tutto oro ciò che luccica. Vediamo perché
L'Istat rileva che il tasso di disoccupazione giovanile a ottobre sale al 39,8%, in aumento di 0,3 punti percentuali rispetto al mese precedente. Dal calcolo sono esclusi coloro che non sono occupati e non cercano lavoro, nella maggior parte dei casi perché impegnati negli studi. L'incidenza dei giovani disoccupati tra 15 e 24 anni sul totale dei giovani della stessa classe di età è pari al 10,3% (cioè poco più di un giovane su 10 è disoccupato). Questa, precisa l'Istat, aumenta a ottobre di 0,1 punti percentuali. Nell'ultimo mese il tasso di occupazione tra i 15-24enni rimane stabile, mentre il tasso di inattività cala di 0,1 punti. L'Istat spiega come la fascia più colpita sia quella che va da 34 a 49 anni, che nell’ultimo triennio ha fatto registrare un calo dell’occupazione del 4,4%, ovvero di 450mila unità.
Dati buoni, invece, per gli over 50. Negli ultimi tre anni crescita pressoché costante degli occupati di 50 anni o più (+13,9%, pari a circa +900 mila tra gennaio 2013 e ottobre 2015). Ma l'Istat sottolinea che a questo dato contribuisce il progressivo invecchiamento dellapopolazione e quello "ancor più rilevante" della maggiore partecipazione al mercato del lavoro, determinata anche dalle minori uscite per pensionamento a seguito delle riforme previdenziali.
Gli occupati under 50, evidenzia l'istituto statistico, sono in calo fino alla prima metà del 2015. La flessione è stata più consistente nel 2013, in particolare per le persone tra 15 e 34 anni (-6,3%, pari a un calo di oltre 300 mila occupati da gennaio 2013). Solo nella seconda metà del 2015 si osserva una ripresa degli occupati 15-34enni che a ottobre 2015 tornano ai livelli di metà 2014. Gli occupati 35-49enni diminuiscono lungo l'intero triennio, registrando un calo del 4,4% (circa -450 mila).

giovedì 7 gennaio 2016

La strada...il palcoscenico dei poveri.



  Tra vent' anni 
non sarete delusi delle cose che avete fatto,
                                      ma da quelle che non avete fatto.
                               levate l'ancora, abbandonate i porti sicuri,
                                      catturate il vento nelle vostre vele.
                                                    Esplorate, sognate, scoprite.

                                                                Mark Twain










  






CONTINUA...

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