SUICIDIO DI UNA POETESSA
ROMA - Si è gettata dal quinto piano, nel cuore della Roma più bella, a pochi passi da piazza Navona. Il volto scavato, gli occhi chiarissimi e stralunati. Il volo di Amelia Rosselli s' è concluso in una chiostrina interna di via del Corallo, un luogo inaccessibile nei giorni di festa, soltanto dai negozi vi si può entrare. E ieri era domenica. Un lungo volo verso l' irraggiungibile. I vigili del fuoco hanno avuto difficoltà a recuperarne il corpo. Nata a Parigi nel 1930, Amelia era una poetessa, una potente voce della poesia. Il padre di Amelia si chiamava Carlo, Carlo Rosselli, il principale animatore e teorico di Giustizia Libertà. Suo zio si chiamava Nello. Morirono nel 1937, accoltellati a Parigi. Quasi sessant' anni più tardi Amelia s' è gettata nel vuoto, dalla sua mansarda silenziosa, accostando la sedia alla finestra della cucina. Il suo corpo ha sfiorato i rami di un albero. Da anni stava male, soffriva di disturbi mentali. Il suicidio era un pensiero ricorrente. "Soffriva di ossessioni persecutorie", racconta il cugino, Aldo Rosselli (figlio di Nello).
"L' assassinio di mio padre e di suo padre la ferirono in profondità. Era una ragazzina. Rimarrà segnata da un incubo terribile, il timore che i servizi segreti la seguissero per ucciderla. Prorio tre giorni fa era uscita dalla casa di cura Villa Giuseppina in cui lei stessa si era fatta ricoverare per qualche tempo. Ieri le ho parlato, mi ha assicurato che stava molto meglio. Ero riuscito a strapparle la promessa che sarebbe venuta a cena da me". La poetessa era spesso ospite di un giro di amici, che tentavano di colmare la sua grande solitudine. Sensa successo. Quegli incubi dell' adolescenza continuavano a tormentarla. Ieri il sucidio è stato tenacemente inseguito per ben due volte. Prima ha tentato di buttarsi da un terrazzino interno dell' edificio, fuori della sua mansarda. Qualcuno le ha gridato di fermarsi, di tornare a casa. Amelia, docile, un po' stordita, ha obbedito. Poi la telefonata a un' amica cara, Giacinta del Gallo di Roccagiovine, alla quale confida il suo disagio, la sua disperazione. "Aspetta, stai calma. Vengo subito da te". Le parole non servono. Una corsa, l' arrivo in via del Corallo, una porta spalancata, una sedia appoggiata alla finestra. Giacinta racconta alla polizia che non era la prima volta che Amelia la chiamava per annunciarle il suicidio. La notizia della sua morte è stata accolta con commozione, ma senza sorpresa, negli ambienti letterari. "Sapevo che stata vivendo un momento particolarmente agitato", ha dichiarato il poeta Mario Luzi. "Io la conoscevo appena, ma avevo colto in lei una rara intensità. E generosità". Racconta Dacia Maraini: "Era una persona molto sola, costretta a vivere in un paese che purtroppo non ama i suoi figli. L' Italia corre dietro ai suonatori di piffero, ma non ha rispetto di personalità fragili e importanti come la Rosselli". Una vita appartata, senza frivolezza, atteggiamenti esteriori, consuetudine con la mondanità. "Una donna di cui certamente non si può dire che avesse avuto una vita facile", sostiene Enzo Siciliano. "La sua stessa poesia forse l' aveva fin troppo soggiogata e confinata anche da se stessa. Accade spesso che la poesia possa far torto alla persona del poeta: era questo il caso di Amelia".
Anche Siciliano critica quegli ambienti della cultura e dei mass media nei quali "la moneta cattiva scaccia quella buona. La sola consolazione è che la moneta buona non perde valore. La poesia della Rosselli rimane lì, non ce la toglie nessuno. Mentre altra robaccia, di cui si chiacchiera molto, forse non esiste nemmeno nel monemto in cui se ne parla". "In questa mia casa", disse una volta la poetessa, "c' è relativo silenzio. C' è poco rumore anche se tengo le finestre aperte. Quando l' isolamento è eccessivo, esco a far quattro passi". Ieri Amelia a quel silenzio non ha resistito.
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