sabato 16 gennaio 2016

Disoccupato, non cerco (piu') lavoro : l'identikit di 3,3 milioni di "cadaveri economici" ai quali lo Stato deve insegnare a credere nuovamente nel futuro.

Disoccupato, non cerco (più) lavoro: l'identikit di 3,3 milioni di 'cadaveri economici' ai quali lo Stato deve insegnare a credere nuovamente nel futuro

di  20.01.2014 9:05 CET
Disoccupazione
Repertorio: un cartello ai tempi della Grande Depressione. Flickr
"Perinde ac cadaver" dicevano i gesuiti: 'nello stesso modo di un cadavere', sottomissione assoluta alle regole dell'ordine, annientamento della propria personalità. Traslando il tutto ai giorni nostri, purtroppo, un nuovo domino - un nuovo padrone - regna nelle menti di molti italiani: è la Crisi che, nelle sue manifestazioni e in tutta la sua potenza, è riuscita ad offuscare la vista di molti, troppi, cittadini del Bel Paese. Una crisi che dura da molto tempo, uno status quo che ha sfiancato anche i più ottimisti e che è riuscito nell'arduo compito di uccidere ogni residua speranza per il futuro. Tempo fa era materia quotidiana leggere della 'luce in fondo al tunnel': un tunnel buio, lungo, percorso fino allo stremo da molti italiani. La luce non si è vista, le speranze sono svanite e in molti si sono convinti che 'il buio' è la loro nuova casa.
Fuor di metafora, a questa descrizione rispondono - lo conferma l'Eurostat - più di 3,3 milioni di persone. Non hanno un lavoro, ovviamente, ma non sono nemmeno disoccupati: la disoccupazione, infatti, è il risvolto negativo di una ricerca attiva e costante del lavoro. Se si è senza impiego, disponibili a lavorare ma senza cercarlo attivamente, non ci si può definire 'disoccupati': queste le ferree regole economico-statistiche del gioco. Ecco, così, che si forma un 'esercito' che - nolente - giura fedeltà alla madre-Crisi: gli ultimi anni bui hanno rimosso ogni speranza, la crisi diventa causa ed effetto del loro stato di 'cadaveri economici'.
I numeri, solido appiglio alla realtà, non sono da sottovalutare. Parliamo di uno 'status' che tocca da vicino il 13,1% della forza lavoro tricolore: siamo tre volte oltre la media dei Paesi Ue-28 (4,1%). Se nel terzo trimestre 2013 il dato cresceva, su base tendenziale, dello 0,4% in Europa, il nostro Paese registrava un incremento di ben 0,9 punti percentuali (+219 000 unità rispetto al trimestre precedente), oltre il doppio della media europea quindi. Guardare le statistiche degli altri Paesi ci avvilisce: 10,1 in Croazia, 5,1 in Spagna (pur sempre con la disoccupazione sopra al 26%). Poi quel gap che diventa apparentemente incolmabile con il Regno Unito (2,5%) e la Germania con il suo 1,3%. 'Il lavoro nobilita l'uomo' si dice: eppure ben 6,15 milioni di italiani devono farne a meno. Quasi tre milioni di persone, in aumento, cercano e non trovano lavoro. Le altre, di cui accennato fino ad ora, sono cadute vittime del sortilegio della crisi e non lo cercano più. Sono individui scoraggiati, certamente, ma anche mortificati dal corso di questi eventi che sembrerebbe palesare una loro 'inutilità' nel mondo del lavoro attuale: nulla di più erroneo. La mancanza di convinzione, afferma la statistica, ne affligge quasi la metà: 1,518 milioni sui 3,3 totali. Due 'scoraggiati' su tre (1,068 milioni) vivono nel Sud Italia.
C'è bisogno di un aiuto, non piccolo, da parte dello Stato. Un intervento dalla duplice natura. La necessità di 'lustrare' un mercato del lavoro decisamente opaco è un fatto innegabile. Ma non deve, e non può, fermarsi qui il compito dello Stato. La crisi, diventata cronica nella mente di molti cittadini senza lavoro, deve essere estirpata con iniziative valide. Bisogna fare attenzione, però, perché il disoccupato, così come lo scoraggiato che non cerca più lavoro, è una persona ferita nell'orgoglio, non una ingenua: annunci urbi et orbi di fantomatici futuri rosei, magari basati sull'escamotage di turno sulle statistiche nazionali, non lo conquisteranno. Anzi. Si deve ristabilire un duplice rapporto di fiducia tra lo Stato ed il cittadino e tra lo stesso cittadino ed il mercato del lavoro. Compito non semplice che altro non fa che palesare quanto la risoluzione di questo problema, in Italia, sia di fondamentale importanza per sperare (e magari arrivare a vivere) in un futuro migliore. 

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